giovedì, luglio 31, 2025

La mia musica

Premessa

In questi giorni, riordinando la mia collezione di CD, ne ho ritrovato uno che avevo realizzato come dono per i soci del Lions Club Scandiano, di cui ero presidente nell’anno sociale 2003-2004.
Oggi i CD sono diventati un oggetto un po’... come dire, antiquato. Così ho pensato di condividere con i lettori del mio blog alcuni brani della musica che amo.

Nell’elenco che segue, troverete i brani inclusi in quel CD, interpretati da diversi esecutori. Chi lo desidera può ascoltarli per cogliere quanto sia importante il modo in cui ciascun interprete dà vita alla musica.

Buona lettura della presentazione e buon ascolto dei brani — tutti reperibili su YouTube.

Presentazione

Alcuni giorni prima del mio 12° o 13° compleanno, penso non più di una decina, da una stanza della grande casa in cui ho vissuto gran parte della mia infanzia, sentii provenire della musica che non conoscevo. Aprì la porta e vidi mio padre che sfogliava dei grandi raccoglitori scuri con la copertina di pelle stampata e nei quali erano inseriti dei grossi dischi. In quel momento dagli altoparlanti del giradischi, una voce scura e in parte coperta da fruscii cantava: " Cortigiani vii razza dannata...". Quella musica mi colpi e ricordo perfettamente che chiesi a mio padre di poter continuare ad ascoltarla. Credo di aver sentito quel brano decine di volte, e come fanno spesse volte i bambini che ascoltano ossessivamente la stessa canzone, io mi ero fissato con quel brano d'opera. Mio padre forse "stufato" dal Tito Gobbi che da un disco a 78 giri cantava tutto il giorno "Cortigiani vii razza dannata.. " il giorno del mio compleanno mi regalò l'opera: "Rigoletto" un'edizione che conservo ancora, come tutte quelle che ho acquistato o ricevuto da quel tempo ormai lontano.

 La mia passione per la musica lirica è nata così, e mi rendo conto che ha segnato in modo significativo la mia esistenza. La musica rappresenta una forma espressiva dei sentimenti dell'uomo come, l'amore, la passione, la fedeltà, il tradimento, il dolore e la felicità.

Il momento dell'ascolto ha un significato importante e rappresenta un occasione per meditare su noi stessi in un mondo che ci costringe ad una vita spesso convulsa e incolore.

 Questi brani sono stati "tagliati" ed assemblali da CD di opere integrali, hanno un ordine cronologico preciso, che cercherò di spiegare in breve qui di seguito, così come è voluto il breve intervallo che divide un brano dall'altro quasi a voler realizzare un'opera integrale a se stante.

Mi rendo conto che per un non "appassionato" di lirica la scelta di questi brani non facilita l'ascolto e di questo vi chiedo di scusa, ritengo però che non sia corretto fare dei distinguo tra generi musicali ed infatti l'amica Roberta, alla quale ho "rubato." l'idea di questo CD, ha scelto tutt'altro genere, per entrambi però la musica è un "pezzo di vita".

Del primo brano vi ho già detto, mi ha iniziato alla musica operistica, poi è stato quasi naturale imboccare il filone "verdiano". Di Aida nell'anno 1971 ricordo la rappresentazione all'Arena di Verona con il grande Carlo Bergonzi nel ruolo di Radames. Per il brano riportato voglio evidenziare la straordinaria interpretazione di Aureliano Pertile (1928) in un incisione storica. Della "La Traviata" ho scelto il preludio all'atto 3° per sottolineare le grandi capacità sinfoniche di Verdi che troveranno il loro culmine nella "Messa da Requiem". Per ultimo "Il Trovatore" un opera "truce", bambini e madri al rogo, teste tagliate, avvelenamenti, e fu questa opera a farmi riflettere sul "testo" del libretto. Lo trovavo veramente anacronistico, fuori dal tempo, fu cosi che mi ritrovai "Puccini” - Rimasi colpito dalle romanze appassionate, dagli amori travolgenti dei personaggi, da Manon a Liù, da des Grieux a Calaf.

A "Turandot" ho dedicato due brani poco noti, ma voglio sottolineare che al termine di "Liù, bontà.. il maestro Puccini muore e la "Turandot" venne completata da Franco Alfano.

 Con Puccini termina il periodo che definisco di “iniziazione” alla musica lirica. Non ricordo quale fu l'occasione che ml avvicinò alla musica barocca, posso solo dire che fu per me una "scoperta" e tutt'ora rappresenta la musica che più ascolto ed amo.

Nel barocco, musica, parole, e immagini si fondono in un insieme organico per dare all'ascoltatore la possibilità di vivere l'opera con tutti i sensi in una dimensione fantastica. Rimasi anche affascinato dalle capacità interpretative di tanti cantanti ed un primo posto lo occupa la grande ed indimenticabile Marilyn Home.

Nel CD riporto brani dall’”Orlando furioso" di A. Vivaldi e dall'"Orlando" di G.F. Haendel. Di quest'ultimo ricordo la splendida rappresentazione al nostro Municipale sotto la regia di Pier Luigi Pizzi, l'uso magistrale delle macchine teatrali, la scena della "Battaglia" nella quale i personaggi cavalcano enormi stalloni dorati che si muovevano con perfetta sincronia sul grande palcoscenico del teatro.

Al periodo nel quale ero attratto dalla potenza e dalla magnificenza rappresentate nella musica barocca ha fatto contrapposizione l'ascolto dell'opera di J.S. Bach, ovvero la "perfezione". Quello riportato nel CD è un brano tratto dalla "Passione secondo S. Matteo". Non ho visto il recente film "la crocifissione" ma molti me ne hanno parlato, vi chiedo di soffermavi come queste due epoche siano diverse, oggi si predilige la spettacolarità, ieri la riflessione ed il dramma interiore dell'uomo che muore per salvare l'umanità. Anche se non si conosce il tedesco si percepisce il pianto, il lamento di chi piange la morte di un innocente.

Dopo Bach, tutto cambia, ed ecco che a "completare" la mia formazione di "fruitore" di opere "scopro" W.A. Mozart, grande tra i grandi, portatore di ideali di una modernità sconvolgente, Nel "Don Giovanni" il male soccombe, trascinato agli inferi dalla "statua del Governatore" in un insieme corale di grande effetto e suggestioni. Nel "Flauto Magico", opera da molti considerata una sorta di grande inno massonico, è l'Uomo che deve trovare la via per raggiungere la perfezione, perché tutti gli uomini sono uguali davanti all'Essere Supremo.

L'aria di Sarastro recita:

In questi luoghi sacri

non si conosce la vendetta,

e se un uomo cade,

l'amore lo guida verso il dovere.

Allora egli cammina mano nella mano con gli amici

felice e contento verso la terra beata.

In queste mura sacre,

dove gli uomini si amano,

nessun traditore può nascondersi,

perché si perdona il nemico.

Chi non si rallegra di tali insegnamenti

non merita di essere umano.

Il CD "La mia musica" si chiude con due brani tratti da un’opera poco nota: il "Didone ed Enea" di H. Purcell, essa contiene la più dolorosa e straziante aria d'amore del "melodramma" di tutti tempi.

Didone, abbandonata da Enea si avvelena e nel morire tra le braccia dell'amica Belinda canta:

Quando distesa sarò nella terra,

i miei mali non suscitino

alcun tormento nel tuo petto.

Ricordati di me, ma, ah! Dimentica la mia sorte;

a tanta drammaticità segue un coro di cupidi, che esalta e completa il patos della scena, essi cantano:

Con ali abbassate, o Amori, venite,

e sulla sua tomba spargete rose

morbide e delicate come il suo cuore.

Vegliate qui, e mai v'allontanate.

 Questa è la musica che amo.

 

"La mia musica" Brani da opere liriche scelti da Piero Nasuelli

[1J Rigoletto: "Cortigiani vii razza dannata” (Giuseppe Verdi, Rigoletto)

Cantanti, baritono:  Tito Gobbi, Oietrich Fìscher-Oieskau

[2) Radames: "Se quel guerrir io fossi !" (Giuseppe Verdi, Aida)

Cantanti, tenore: Aureliano Partile, Carlo Bergonzi, Franco Corelli, Luciano Pavarotti

[3] La traviata: Preludio atto terzo" (Giuseppe Verdi)

Orchestra Sinfonica dì Torino della Rai, direttore Gabriele Santini 1953

[4] Il Conte di Luna: "Tutto è deserto, né per l'aura ancora” (Giuseppe Verdi, Trovatore)

Cantanti, baritono: Ettore Bastianini, Sherrill Milnes

[5] Chevalier des Grieux: "Ah, non v'avvicinate ! ... Come io piango ed imploro" (Giacomo  Puccini, Manon Lescaut).

Cantanti, tenore: Giuseppe di Stefano, Mario del Monaco, Beniamino Gigli, Aureliano Pertile

[6] Manon: "Sola, perduta, abbandonata. ." (Giacomo Puccini, Manon Lescaut)

 Cantanti, soprano: Maria Callas , Renata Tebaldi, Ghena Dimitrova, Anna Netrebko

[7] Calaf "Tre enigmi m'hai proposto!" (Giacomo Puccini, Turandot)

Cantanti, tenore: Eugenio Fernandi, Mario del Monaco

[8] Timur. "Liù..bontà" (Giacomo. Puccini Turandot)

Cantanti, basso: Nicola Zaccaria, Bonaldo Giaiotti, Viktor de Narké

[9] Orlando Furioso: Overture (Antonio Vivaldi) I Solisti Veneti, direttore Claudio Scimone 1978

[10] Orlando: "Nel profondo Cieco Mondo. ."(Antonio Vivaldi, Orlando Furioso)

Cantanti, mezzo soprano: Marilyn Horne, Romina Basso, Caterina Calvi, Nadezhda Karyazina

[11] Rinaldo: “or la tromba" (Georg Friedrich Händel, Rinaldo)

Cantanti, mezzo soprano: Marilyn Home, Marjorie Maltais, Joanne Evans

[12] Battaglia: (Georg Friedrich Händel, Rinaldo), Act 3: Battaglia

[13] Rinaldo: "Ecco ìl superbo" (Georg Friedrich Händel, Rinaldo)

Cantanti, mezzo soprano: Marilyn Horne

[14] Tutti "Vinto è il sol" (Georg Friedrich Händel, Rinaldo)

Orchestra del Teatro La Fenice dì Venezia direttore John Fìsher 1991

[15] Aria: "Konnen Tranen meiner Wangen (Le lacrime possono scorrere sulle mie guance)"

(J.S. Bach La Passione Secondo San Matteo)

Cantanti, contralto: Hertha Topper, Julia Hamari, Marga Höffgen, Nora Steuerwald

[16] Statua del Commendatore: "Don Giovanni a cenar teco..' (W. A. Mozart, Don Giovanni)

Cantanti, baritono: Oietrich Fìscher-Oieskau, Samuel Ramey, Carlos Álvarez

[17] Sarastro: "In diesen heil'gen Hallen (In questi luoghi sacri )" (W.A. Mozart, Die Zauberflöte)

Cantanti, basso: Franz Crass, Kurt Moll

[18] Dido: "Thy hand, Belinda, darkness shades me (La tua mano, Belinda, mi protegge dall'oscurità)" (Henry Purcell, Dido and Aeneas)

Cantanti, soprano: Anne Sofie von Otter, Malena Ernman, Barbara Bonney

[19] Chorus: "With droopìng wings ye Cuplds come (Con le ali cadenti voi Cupidi venite)” (Henry Purcell, Dido and Aeneas)

Chorus The English Concer & Choir direttore Trevor Pinnoek 1989





martedì, luglio 29, 2025

Etica dell’agricoltura o etica dell’agricoltore? Una riflessione tra economia, filosofia e realtà produttiva

Da un intervento al Food Festival del 2014 che, ritengo, essere assai attuale.

Premessa

Una parte del mondo agricolo ha spesso lo sguardo rivolto al passato e alle tradizioni. E' sufficiente prendere in considerazione la grande enfasi e importanza che si assegna alle produzioni IG (Indicazioni Geografiche).

Gli agricoltori delle produzioni IG vengono considerati veri detentori dei modi "naturali" del produrre, e assumerebbero, di conseguenza, comportamenti inevitabilmente "etici", in quanto l'atto stesso del produrre avviene in un contesto di rispetto della "natura", in un'ottica di società solidale. Il motto tanto usato - o forse abusato - è quello della "sostenibilità". 

A questi agricoltori si contrapporrebbero altre figure che potremmo definire "finanziarie", ovvero profittatori, sfruttatori delle risorse naturali e quindi responsabili dei tanti, troppi disastri. 

Ma, ha senso insistere su tale dicotomia? Una simile contrapposizione non porta ad alcun risultato. Questo intervento affronta l'impegnativo tema di un'etica dell'agricoltore, e non tanto quello di una "agricoltura etica". 

L'etica, appartiene all'uomo, non a un sistema.

1. Introduzione

La produzione di beni primari destinati all’alimentazione umana è da considerarsi la prima vera attività economica nella storia dell’umanità. Segna il passaggio dall’uomo nomade e pastore all’uomo agricoltore, cioè alla civiltà stanziale. Proprio da questa consapevolezza — che produrre cibo è attività economica — prende forma la scienza economica.

Il premio Nobel Amartya Sen, nel suo saggio Etica ed economia, illustra efficacemente l’origine di questa scienza, individuando due matrici fondamentali: una di tipo etico, che risale ad Aristotele, e una ingegneristica, più recente, che si sviluppa a partire dagli studi di Léon Walras (Sen, p. 9).

2. Economia ed etica

Senza addentrarci nella complessità dei modelli economici, ricordiamo che l’economia è una scienza sociale: studia comportamenti collettivi che non sono sempre la semplice somma di quelli individuali. Ecco perché nutro molte perplessità sull’idea che l’economia possa ridursi a una scienza modellistica. Ogni giorno leggiamo previsioni e dinamiche proposte da centri di ricerca economica, basate su modelli spesso molto distanti dalla realtà concreta.

Un’economia fondata sull’etica si interroga su come perseguire la ricchezza per raggiungere il benessere, che non coincide necessariamente con l’accumulazione materiale. Come scrive Adam Smith nella Teoria dei sentimenti morali: “Cosa si può aggiungere alla felicità dell'uomo che è in salute, non ha debiti e ha la coscienza pulita? Per uno in tale situazione, ogni aggiunta di fortuna può essere giustamente giudicata superflua, ed esaltarsi per un simile evento è segno della più frivola leggerezza. Tuttavia, questa situazione può essere benissimo definita come lo stato naturale e ordinario dell'umanità. Nonostante l'attuale miseria e depravazione del mondo, tanto giustamente lamentata, questo è realmente lo stato della maggior parte degli uomini. Perciò la maggior parte degli uomini non può trovare una grande difficoltà nel condividere la felicità che altri provano nel raggiungere una tale situazione.”

3. Etica dell’agricoltore o agricoltura etica?

Qui si pone la questione centrale: dobbiamo parlare di etica dell’agricoltore o di agricoltura etica?

Nel primo caso, è il singolo agricoltore a muoversi eticamente per conseguire benessere; nel secondo, è l’intero sistema agricolo, cioè un insieme di soggetti organizzati secondo norme, a produrre ricchezza e benessere.

È una distinzione sostanziale. L'etica individuale si fonda sulla responsabilità personale; l’etica sistemica richiede coerenza collettiva.

4. La terra non è una macchina

Già nel 1820, Thomas R. Malthus descriveva la terra come un dono della natura, non assimilabile a una macchina industriale. La sua riflessione sulla disuguaglianza di qualità tra terreni resta attualissima:

La terra è stata talvolta paragonata a un'enorme macchina, che la natura ha donato all'uomo per la produzione degli alimenti e delle materie prime; ma per rendere più preciso il paragone, nei limiti in cui è possibile farlo, dovremmo considerare il suolo come il dono fatto all'uomo di un gran numero di macchine, tutte suscettibili di progressivi miglioramenti attraverso l'impiego di capitale, pur possedendo qualità e capacità assai diverse. 

Questa grande disuguaglianza di capacità tra le macchine utilizzate per ottenere i prodotti del suolo costituisce uno dei tratti distintivi più notevoli della terra come meccanismo produttivo rispetto alle macchine utilizzate nelle fabbriche.

Quando nelle manifatture si inventa una macchina, in grado di fornire maggiori quantità di prodotti finiti con meno lavoro e capitale, se non vi è un brevetto, o non appena il brevetto è scaduto, sarà possibile costruire un numero di esemplari di questa macchina sufficiente a soddisfare l'intera domanda e a sostituire completamente l'uso delle vecchie macchine. La naturale conseguenza è, che il prezzo si riduce al livello del prezzo dei prodotti ottenuti dalle macchine più efficienti, e se il prezzo dovesse cadere più in basso, la merce verrebbe completamente ritirata dal mercato.

Le macchine che producono grano e materie prime, al contrario, sono doni della natura, non opera dell'uomo; e constatiamo, per esperienza, che questi doni hanno qualità e capacità molto diverse. Le terre più fertili di un paese, quelle che, al pari delle macchine più efficienti nelle fabbriche, danno il massimo di prodotti con il minimo di lavoro e capitale, non risultano mai sufficienti, a soddisfare la domanda effettuale di una popolazione che aumenta....

David Ricardo confermava la lucidità di questa analisi. A differenza della fabbrica, il sistema agricolo è soggetto a limiti naturali insormontabili. Ed è proprio in questo contesto che l'agricoltore etico si muove: consapevole di questi limiti, ma capace di trasformarli in opportunità.

5. Il sistema produttivo e il ruolo dell’imprenditore

Nel linguaggio contemporaneo, ogni impresa agricola è un sistema, con input (terra, lavoro, capitale), un processo produttivo (organizzato dall’imprenditore) e output (beni alimentari).

Questo sistema è costantemente sottoposto a vincoli ambientali, normativi, sociali. L’equilibrio con l’ambiente non è mai pienamente raggiunto — e proprio per questo è possibile il progresso, inteso come miglioramento continuo delle condizioni di vita.

L’imprenditore agricolo ha un ruolo fondamentale: è colui che combina i fattori, affronta i rischi e produce beni. Il suo operato ha una finalità etica: creare benessere sostenibile.

6. L’individuo e l’aggregato

Passiamo considerare l'uomo come un atomo, ci sono forze di attrazione, sulle quale non possiamo addentrarci in questa trattazione, che come spingono gli atomi ad unirsi per formare le molecole, ovvero materiali nuovi e ben diversi dagli atomi originali, così spingono gli uomini all'aggregazione. Perdono la loro individualità realizzando strutture sociali complesse, mi riferisco a corporazioni, classi sociali, associazioni, cooperative, movimenti, ecc..

Gli uomini, però, in queste strutture sociali non perdono la loro individualità, ovvero l'atomo resta, e anche l'etica fa riferimento al singolo individuo.

Anche Marx, a suo modo, fondava la “lotta di classe” su una visione etica del singolo che persegue un fine comune.

Se la scienza economica ai suoi albori e i padri fondatori come A. Smith – Malthus - Ricardo affrontano il problema di come il singolo possa perseguire la ricchezza e come la ricchezza della società sia data dalla sommatoria delle singole ricchezza oggi, grazie a studi approfonditi, sappiamo che le strutture nelle quali gli uomini si aggregano hanno una loro "autonomia" sono cioè dei sistemi nuovi e di conseguenza la visione etica non si basa più sul singolo individuo ma sul comportamento di tutti gli individui come se questi agissero all'unisono.

Questa profonda evoluzione del pensiero ci porta alle definizioni che oggi sono ben note, come "finanza etica", "banca etica", "industria etica" e si potrebbe continuare per arrivare alla "agricoltura etica".

Siccome l'etica ha come obiettivo il perseguimento del benessere, nel momento in cui si fa riferimento ad un intero aggregato di individui come non poter considerare la solidarietà e contemporaneamente la sostenibilità.

Nel momento in cui non considero più l'individuo ma l'aggregato è ovvio che il mio benessere deve tener conto del benessere degli altri, di tutti gli altri nello stesso momento, ed è per questo che all'interno di un sistema (vincoli esterni) tutto deve essere sostenibile nel senso che il mio benessere è condizionato anche da quello degli altri.

7. Agricoltura etica: tra solidarietà e sostenibilità

L’etica, intesa come ricerca del benessere, richiede che il benessere del singolo tenga conto di quello degli altri. In un sistema di vincoli (naturali, economici, normativi), la sostenibilità è condizione imprescindibile del benessere.

Questo implica rivedere l’idea tradizionale secondo cui l’uomo ha bisogni illimitati. Oggi, quei bisogni devono fare i conti con risorse limitate, ambienti fragili, e responsabilità condivise.

In sintesi. In presenza di vincoli il benessere è pertanto limitato e quindi non è più valido il concetto che l'uomo (come individuo) ha bisogni illimitati e quindi tende a consumi illimitati.

8. I limiti dell’agricoltura etica

Gli studi di Thompson e Kaplan (Enciclopedia di Etica Alimentare e Agricola) danno valore al concetto di “agricoltura civica” o “sociale”. Ma l’agricoltura etica non può essere ridotta a un contesto assistenziale o didattico.

Fattorie didattiche, filiere a km0, produzioni biologiche, cooperative sociali sono esempi virtuosi, ma insufficienti. La nuova PAC tenta di promuovere questa visione, ma spesso lo fa in modo coercitivo, legando l’adesione a standard etici al ricevimento di sussidi.

Un’agricoltura eccessivamente regolata rischia di ridurre la produzione, aumentare la scarsità e portare a nuova indigenza, principalmente per due ragioni: 

  • la scarsità naturale: le terre fertili sono limitate, come già osservava Malthus;
  • la rigidità normativa: i disciplinari (es. DOP) impongono vincoli spesso eticamente discutibili, che scoraggiano l’innovazione.

Tutto ciò porterà a differenziare l’offerta di quei prodotti alimentari che hanno costi di produzione più alti. Così facendo però dobbiamo attentamente prendere in considerazione quanto scritto da Adam Smith, nella Ricchezza delle Nazioni, quando denunciava già nel Settecento gli effetti negativi dell’intervento statale sul commercio dei grani: “Tutto quello che artificialmente inalza il prezzo dei beni o ne regolamenta l’offerta nel lungo periodo ne riduce la produzione e quindi impedisce il progresso e l’innovazione. Troppe risorse vengono destinate al mantenimento dello status quo. Carenza di grano in Francia (ai tempi dell’autore) ed abbondanza nel regno Unito nonostante i terreni siano più fertili in Francia che nel Regno Unito”.

La PAC, a volte, replica gli stessi errori: irrigidisce i sistemi invece di stimolare l’innovazione.

9. Conclusione

L’etica dell’agricoltore non si fonda sul rispetto meccanico delle norme, ma su una conoscenza profonda della terra, intesa come dono e non come macchina.

Per l'agricoltore etico la tradizione, la produzione biologica, il "prodotto tipico" non esistono nel significato che gli diamo attualmente per il semplice motivo che egli produce sulla base delle conoscenze ed esperienze che gli derivano dall'utilizzo della terra, una "macchina" maltusiana.

La terra è un dono e l'agricoltore lo sa.

Ogni produzione dell'agricoltore etico è il risultato sapiente della combinazione di tradizione (modo naturale di produrre) e innovazione (rendere più fertili le terre).

L'innovazione NON si fa con le norme e le leggi, l'agricoltore etico non ha bisogno di regole repressive, egli è colui che organizza un sistema che tende continuamente ad essere in equilibrio.

Per l'agricoltore etico il passato è la terra sulla quale egli costruisce il suo futuro nel più assoluto rispetto perché sa perfettamente che se il suo operare dovesse alterare la terra distruggerebbe il suo futuro.

Lasciamolo lavorare in pace, la società godrà dei sui frutti e sarà più felice.


martedì, aprile 29, 2025

Le affermazioni di Papa Francesco sulla pace: considerazioni e valutazioni

Circa 300.000 anni fa è apparsa sul nostro pianeta una nuova specie di essere vivente, ovvero l’Homo sapiens, il risultato di un'evoluzione durata almeno 3,5 o 4 milioni di anni. Secondo i biologi, noi non siamo geneticamente molto diversi rispetto a quel primo Homo sapiens. Tuttavia, la popolazione è cresciuta, da pochi individui a oltre 8,5 miliardi, dimostrando capacità di adattamento e diffusione difficilmente riscontrabili in altre specie viventi.

Per almeno 280-290 mila anni l’uomo ha costituito delle comunità nomadi che si spostavano sia per la ricerca di cibo sia per trovare zone climaticamente più favorevoli. Quando l’uomo è diventato stanziale, ha formato comunità che dovevano salvaguardare il territorio dal quale ottenevano tutti i mezzi per il sostentamento. Se la comunità cresceva, doveva necessariamente espandersi su una maggiore porzione di territorio. Se non vi era territorio disponibile, spesso si occupava quello di un'altra comunità, il che è considerato come l'origine della conflittualità tra i gruppi di individui.

La “conflittualità” tra gruppi di individui della stessa specie per il possesso di porzioni di territorio è tipica e naturale per moltissime specie di esseri viventi, come si può osservare nella territorialità dello scoiattolo o dei grossi felini.

Con lo sviluppo del pensiero umano, emerge una nuova dimensione sociale. Il messaggio evangelico di Cristo propone una visione universale. Con il battesimo, l'uomo entra in una nuova dimensione sociale nella quale non ci sono più distinzioni tra gruppi e comunità, eliminando il principio di territorialità e confini da difendere o ampliare. Lo “spazio vitale” diventa quello del pianeta senza più nazioni. In questo contesto, i conflitti e le guerre non avrebbero più ragione di esistere.

Questo approccio, sebbene utopico, è coerente con l’insegnamento evangelico e dovrebbe essere considerato come premessa di qualunque discussione sulla guerra.

Papa Francesco parla di pace “universale”, però fa sempre riferimento alle nazioni in guerra ad esempio quella Ucraina o al popolo ucraino, così come alla nazione Russa, mai io ricordo un riferimento esplicito alla universalità, ovvero al superamento della nazione intesa come elemento divisivo tra le genti per dare origine ad un profondo cambio di paradigma. Dire che i contendenti sono tutti colpevoli e/o tutti innocenti non risolve il problema.

Non c’è una pace giusta o ingiusta nel nostro mondo ci sono solo rapporti poco o tanto conflittuali. Se i conflitti socioeconomici sono contenuti e “confinati” in accordi / trattati riusciamo ad evitare la guerra ma se si ritiene che sia necessario ed indispensabile uno “spazio vitale” allora si arriva alla guerra.

Questo è, tristemente, il contesto attuale e la voce di noi cristiani e anche di colui che tutti ci dovrebbe rappresentare come “pastore” universale non riesce a demolire il primordiale tabù del confine tra le nazioni e le diverse aspettative delle popolazioni.

La guerra russo-ucraina ne è un esempio. La Russia rivendica territori. Ad esempio, la Crimea venne conquistata in epoca zarista da Caterina II “la Grande” nel 1783 per un accesso sicuro al Mar Nero, garantirsi una “sicurezza” strategica nei confronti dell’Impero Ottomano e per ulteriori espansioni territoriali.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Crimea fu occupata dalle truppe tedesche e successivamente liberata dalle forze russe, entrambi gli eserciti causarono notevoli distruzioni. In quegli anni, l'URSS controllava tutte le Repubbliche Sovietiche, seguendo le politiche stabilite a Mosca. Nel 1954, Nikita Khrushchev decise di trasferire l'amministrazione della Crimea dalla Russia all'Ucraina.

In quell’anno si tratta di una pura formalità sempre di URSS si tratta.

Nel 1991 con il crollo dell’URSS tutto cambia, l’Ucraina diventa indipendente e “possiede” territorialmente anche la Crimea.

L’attuale rivendicazione territoriale della Russia nei confronti dell’Ucraina è legittima? Sulla base degli attuali trattati la risposta è semplice, NO! ma se incominciamo a dire però, nel 1783 e anche prima nel 1600, ecc... Che cosa potrebbe dire o fare l’Italia, ai tempi dell’Impero Romano la Gallia, l’Inghilterra, ecc... erano territori “nostri” li abbiamo perduti però … Insomma, non si finirebbe più.

Dopo due guerre mondiali e la creazione di “blocchi” tra le nazioni i governanti, anche sulla basse delle sollecitazioni popolari, hanno maggiormente sviluppato un atteggiamento di protezione dello status quo.

Si veda la nascita dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea, a scopo dichiaratamente difensivo della NATO. Anche l’ URSS aveva lo scopo di mantenere uno status protettivo per le nazioni che ne facevano parte.

Negli ultimi 40-30 anni da una situazione di immobilismo territoriale si è passati ad una fase più dinamica condizionata da molti fattori, ne cito solo alcuni: la diversità nello sviluppo demografico, aree ad alta crescita si contrappongono ad aree in calo demografico o almeno ad incremento modestissimo; lo sviluppo di tecnologie avanzate; condizioni di lavoro differenti e quindi costi del lavoro differenti, conviene produrre magliette e scarpe in Cina o in Vietnam piuttosto che in USA o in Italia, la disponibilità di fonti energetiche a basso costo, ecc…

Tutte queste dinamiche hanno impattato sulle società nel loro complesso ed hanno creato tensioni tra nazioni confinanti. In molti casi tutto si è “risolto” con accordi commerciali che potevano garantire reciproci vantaggi e le questioni militari sono rimaste sullo sfondo, diciamo accantonate, anche perché nessuno a voglia di fare la guerra. Ma in altri contesti lo scontro è diventato cruento e l’unico modo per risolverlo è quello della guerra.

Fare una guerra è molto costoso e mi sono chiesto quali dati si possono reperire sul database della World Bank, sempre molto dettagliato, e facilmente utilizzabile per analisi globali.

Il database pubblico contiene quasi 9 milioni di dati riferiti a tutte le nazioni e riguardanti più 1500 indicatori socioeconomici.

Con Donald Trump alla casa Bianca e la guerra Russo-Ucraina il dibattito sulla spesa per la difesa e il “riarmo” si è fatto particolarmente acceso.

Mi sono chiesto se è possibile osservare una qualche relazione tra spesa militare e “propensione” alla guerra, può essere vera l’affermazione che se si comprano armi prima o poi si useranno e quindi si farà una guerra?

Analizziamo un po' di dati.

Nel 2023 l’ammontare totale della spesa militare[1] mondiale è pari a poco meno di 2.400 miliardi di dollari pari al 2,35% del PIL, quasi 100 miliardi in più del PIL dell’Italia.

Una spesa enorme. Oltre I’87 % di questa spesa totale è sostenuta da 20 paesi, il primo, gli USA con oltre il 38% della spesa, seguono Cina (12%), Russia(4,6%) e India (3,5%), l’ultimo è l’Olanda che nel 2023 spende “solo” 16 miliardi di dollari pari allo 0,7% del totale. Nello stesso anno l’Italia spende 35 miliardi di dollari. Si consideri che a valori costanti 2015 il PIL dell’Olanda è quasi la metà di quello dell’Italia.

Il grafico 1, sotto riportato, mostra l’andamento dell’incidenza % delle spese militari sul PIL nel periodo dal 1960 al 2023. Per la Cina i dati sono disponibili dal 1990, mentre per la Russia solo dall’anno 2000. Ad eccezione della Russia l’incidenza % delle spese militari sul PIL si mantengono sostanzialmente stabili con piccoli incrementi a partire dal 2022.

La Russia al contrario ha incrementato la spesa nel 2022 e 2023, ovvero con l’inizio della guerra.


È interessante osservare come i dati statistici non riescono ad illustrare una “propensione” al riarmo che possa far emergere la volontà programmata per una aggressione bellica. Lo stato di Israele ha vissuto nel periodo 1960-2023 noti periodi in guerra, quindi è comprensibile che lo stato destini una quota significativa del PIL alle spese militari si aggirano attorno al 5%, ma solo negli anni di guerra si osserva un picco nelle spese e non prima.

Se si osservano gli andamenti si potrebbe concludere che ogni nazione, in periodo di pace, spende una certa somma di danaro tale da permettere il mantenimento di una struttura organizzativa militare, il più efficiente possibile, che in caso di conflitto, possa essere mobilitata, con successo, per la difesa da una eventuale aggressione.

Nel grafico 2 sono riportati i tassi annui di variazione di tre grandezze significative: l’ammontare del PIL espresso in dollari a valori correnti, il totale della popolazione e l’ammontare delle spese militari, anch’esse espresse in dollari a valori correnti.

Come si può facilmente constatare le spese militari per quasi tutti i paesi sono cresciute, anche se di poco, con percentuali non molto differenti rispetto al PIL e l’incremento o decremento della popolazione non ha influenzato il decisore nelle spese militari.

Nel confronto anno 2000 e anno 2023 è ovvio che le due nazioni in guerra come Ucraina e Russia hanno incrementato lo spese militari. Situazione un po' più anomala è quella dell’Algeria. Il considerevole incremento pare essere dovuto alla necessità di incrementare le difese per evitare possibili tensioni nelle regioni del Sahara attualmente oggetto di contenzioso territoriale. Anche la Polonia ha incrementato le spese militari, atteggiamento più che comprensibile viste le non poche tensioni ai sui confini orientali.


Il database della World Bank riporta che nell’anno 2020 le forze armate a livello mondiale contano poco più di 27,4 milioni di soldati (vedi tabella 1a, 1b, 1c). Solo 4 nazioni hanno più di un milione di soldati e sono rispettivamente l’India con oltre 3 milioni, la Cina con 2,5 milioni, Russia e USA con ca. 1,5 milioni. Avere più o meno soldati è ovviamente importante, possono servire come “massa d’urto” ma è altrettanto importante capire se sono ben armati. Per quest’ultimo aspetto la spesa totale è stata divisa con il totale degli effettivi ed emerge un “quadro” che mette in evidenza le notevoli differenze tra gli eserciti.

Gli USA spendono per ogni effettivo 558 mila dollari, la Cina 101 mila dollari, la Russia 42 mila ed infine l’india 23 mila. Al fine di comprendere meglio l’effettiva superiorità di questo o quell’esercito i dati precedenti andrebbero maggiormente indagati ed investigati però è innegabile che se spendo 5 o 10 volte tanto per ogni soldato ciò significa che sono dotato di un armamento più moderno e senza dubbio tecnologicamente avanzato. La potenza mondiale degli USA è indubbia, così come il mantenimento di basi all’estero, flotte in ogni oceano, aerei e satelliti in ogni cielo abbiano costi enormi.

Dalla analisi, si veda anche il dato delle spese militari per abitante, stupisce che nazioni pacifiche abbiano spese per soldato assai cospicui. In un range di spesa tra i 450 e i 200 mila dollari si collocano, in ordine decrescente le seguenti nazioni: Australia, Lussemburgo, Svezia, Regno Unito, Danimarca, Canada, Olanda, Germania, Norvegia, Svizzera, Nuova Zelanda, Kuwait, Arabia Saudita e Belgio.

È forse troppo affermare che tutte queste nazioni che spendono così tanto per ogni soldato in realtà sono tra le più “pacifiche”. La Svezia fino all’anno scorso era neutrale, così come lo è tutt’ora la Svizzera.


Alcune conclusioni.

Primo. La spesa militare corrente non rappresenta l’elemento principale che da origine ad un conflitto. Gli stati non si preparano più alla guerra, in pratica cercano di avere dei sistemi di difesa in grado di rispondere efficacemente ad una aggressione militare per tutelare i propri cittadini.

Quando poi sono in guerra sono in grado di mobilitare molte risorse e pertanto, solo durante il periodo di conflitto le spese militari aumentano enormemente. Nel 2023 l’Ucraina ha speso il 36% del suo PIL per la difesa.

Sulla base dei dati presentati l’affermazione che l’incremento delle spese militari porti inevitabilmente alla guerra non trova fondamento, anzi si potrebbe dire che i paesi che più spendono, in relazione all’esercito che possiedono sono quelli che sono più in pace.

Secondo. Attualmente tra le nazioni vi è un elevato squilibrio nella spesa militare. Gli USA detengono un poco inviabile primato, spendendo più del 3% del PIL, ma lo esige la loro dimensione “planetaria”. Se il presidente Trump vuole diminuire l’impegno finanziario vuol dire che intende rinunciare alla difesa USA di alcune aree geografiche più o meno estese.

Le nazioni della NATO, hanno speso nel 2020 1.1 miliardi di dollari. L’elaborazione dei dati non mi permette di stabilire quanto gli USA spendono per la difesa europea. Supponendo, in modo spannometrico, ma i militari lo sapranno bene, che gli USA spendono per l’Europa il 50 % della loro totale si ottiene ca. 350 milioni di dollari, dato non molto distante dai 340 milioni di dollari che spendono le nazioni NATO escludendo gli USA.

Molti commentatori hanno osservato che se gli USA pensano che i membri della NATO debbano spendere il 3% del PIL per la difesa, i finanziamenti dovrebbero aumentare di oltre 270 miliardi di dollari. Questo significherebbe per gli USA rinunciare alla propria leadership. Ma agli USA conviene veramente?

È molto probabile che non sia affatto necessario raddoppiare la spesa per armamenti ma razionalizzare quello che si sta facendo ovvero, essere in possesso di una struttura efficiente e flessibile in grado di dissuadere un eventuale aggressore. La NATO, USA esclusa, è in grado di dispiegare oltre 2,5 milioni di soldati, siamo proprio sicuri che ne siano necessari così tanti? A mio parere possono essere molti di meno ma meglio armati e meglio dislocati. Insomma si può fare meglio spendendo poco di più.

Terzo. La guerra Russo-Ucraina. Nel 2020, confrontando i dati della spesa militare della Russia con quelli dell’Ucraina, si sarebbe potuto concludere che l'Ucraina sarebbe stata rapidamente conquistata dalle truppe russe. Tuttavia, la situazione si è evoluta in maniera differente. Sebbene il sostegno occidentale sia stato fondamentale per l'Ucraina, anche la preparazione militare interna ha giocato un ruolo cruciale nella resistenza ucraina che continua da oltre tre anni.

Dal punto di vista strategico-militare, la Russia ha incontrato difficoltà significative, nonostante la sua superiorità numerica in termini di forze armate. Nonostante l'impiego di tutte le risorse disponibili, esclusi gli ordigni nucleari, le conquiste militari sono state ottenute a un costo umano elevatissimo. Con un esercito di oltre 1,5 milioni di soldati, la Russia ha dovuto ricorrere all'impiego di soldati nordcoreani e alla liberazione di detenuti per integrare le proprie fila.

Questo conflitto ha dimostrato che la sola presenza di soldati non è sufficiente e che alcune armi leggere possono avere effetti devastanti in aree ristrette. Anche se è difficile stabilire l'effettiva condizione dell'esercito russo, è chiaro che lo sforzo economico necessario per sostenere questa guerra non è più a lungo sopportabile. Quando la guerra finirà, la Russia si ritroverà con un'economia compromessa. Putin ne è consapevole e per questo è determinato a ottenere significative conquiste territoriali a tutti i costi.


[1] I dati sulle spese militari del SIPRI derivano dalla definizione della NATO, che include tutte le spese correnti e in conto capitale per le forze armate.