mercoledì, gennaio 22, 2020

Approfondimento - Quanti saranno gli abitanti in Italia nel 2100?

Lo studio dell'ONU riguarda tutti i paesi. In questo post mi soffermo solo sull'Italia, allargare l'orizzonte sul mondo sarebbe importante, lo farò in un altro post se ne avrò il tempo. Le scienze attuariali stimano l'andamento demografico perché questo aspetto è importante sotto tutti punti di vista, da quelli della ricchezza prodotta al welfare, dai consumi, al risparmio, ecc.
Lo studio dell'ONU ha elaborato nove scenari possibili che prendono in considerazione i tre elementi principali che condizionano l'andamento demografico: la natalità, la mortalità e il flusso migratorio. Nel grafico sono riportati i risultai ottenuti.
Elaborazioni su dati ONU: World Population Prospects 2019 - https://population.un.org/wpp/Download/Standard/Population
I dati stimati sono tanto più affidabili quanto più ci troviamo all'inizio del periodo, è ovvio che per una stima a 80 anni la "forbice" tra gli scenari si allarga sempre più.
Dalla tabella si osserva che la differenza tra lo scenario "peggiore" ovvero quello a bassa natalità indicato "Low varian" (popolazione di poco superiore ai 27 milioni di abitanti) e quello "migliore", denominato "Instant replacement", (in questo caso il modello prevede che la dinamica demografica tende costantemente ad equilibrarsi ed il tasso di sostituzione netto nel lungo periodo rimane pari a 1) è di quasi 33 milioni, quindi una differenza molto marcata.
Elaborazioni su dati ONU: World Population Prospects 2019 - https://population.un.org/wpp/Download/Standard/Population
I diversi scenari dovrebbero essere confrontati con quello indicato con "Medium variant" perché utilizza metodi probabilistici per stimare le variazioni delle variabili utilizzate, quindi lo scenario non si basa solo su dati storici ma anche su possibili variazioni sulla base di conoscenze a priori. Dato il rilevante numero di linee generate da tale metodologia viene poi calcolato un dato medio tra tutte le possibili combinazioni.
Possiamo quindi concludere che la popolazione italiana alla fine di questo secolo si riduca di ca 20 milioni di individui.
La popolazione italiana dimezza (poco più di 30 milioni) nel caso in cui in flussi migratori si annullano "Zero migration". In ogni caso ci deve preoccupare che nessun scenario elaborato prevede un aumento della popolazione; solo un consistente aumento del tasso di natalità può ridurre il pesante calo demografico.
Le stime dell'ONU possono essere confrontate con quelle di una analoga previsione fatta dall'Istat che però ha un orizzonte temporale più breve, solo fino al 2065.
Elaborazioni su dati Istat: Previsioni della popolazione 2018 – 2065 - http://dati.istat.it

Le stime sulla popolazione ci permettono di effettuare elaborazioni sulla numerosità per classi di età.Le classi di seguito riportate sono abbastanza arbitrarie.

Elaborazioni su dati ONU
: World Population Prospects 2019 - https://population.un.org/wpp/Download/Standard/Population/
Elaborazioni su dati Istat: Previsioni della popolazione 2018 – 2065 - http://dati.istat.it/ 
L'incidenza % della popolazione tra le classi si modifica soprattutto nella classe 20 – 50 e in quella superiore ai 70 anni, non vi sono differenze sostanziali tra gli scenari ONU e quelli Istat.
La popolazione fino a 20 anni, fa riferimento ai giovani in età scolare e quindi non lavorano. I 20 anni possono considerarsi un'età media perché ci saranno giovani che proseguono gli studi all'università e quindi dai 18-19 anni possono entrare nel mondo del lavoro.
I modelli educativi dovranno modificarsi radicalmente. La scuola attuale è strutturata su un modello che si è sviluppato tra fine '800 e primi '900 quando cioè la popolazione era in crescita e soprattutto le conoscenze scientifiche sono letteralmente esplose. Nel futuro una parte delle competenze scientifiche potranno essere demandate ad automi? Quante attività umane potranno essere assolte dai robot? Tutto ciò potrebbe modificare i percorsi formativi e anche la durata media degli studi.
La percentuale della popolazione compresa tra i 21 e 50 anni è in sensibile calo. È un dato preoccupante perché si tratta della forza lavoro più significativa. Tra i 30 e 50 anni siamo nel pieno delle nostre forze e capacità quindi un calo assoluto e contemporaneamente un calo percentuale potrebbe portare a società più "ingessate" perché le altre classi sono maggioritarie e potrebbero far valere posizioni più conservatrici.
I dati ONU e Istat non divergono molto se si confrontano le incidenze percentuali nella classe da 51 a 70 anni. In termini numerici il calo riguarda milioni di individui  che saranno ancora in età lavorativa. La diminuzione della popolazione e l'incremento della vita media avranno come naturale conseguenza l'aumento del periodo lavorativo.
La classe degli ultrasettantenni aumenterà nel periodo 2020 - 2100 sia in termini assoluti che in termini percentuali. L'Istat prevede che i centenari siano oltre 120.000, pensate che nel 2020 sono stimati in ca. 14.000.
Credo che i giovani devono essere maggiormente informati su queste dinamiche perché dovranno affrontare contesti di cui oggi non sappiamo valutare l'impatto.

Quanti saranno gli abitanti in Italia nel 2100?


La risposta è 39.993.000 in lettere trentanovemilioninovecentonovantatremila. Ce lo dice l'ONU in uno studio pubblicato alla fine del 2019 che ha aggiornato le stime sulla popolazione mondiale. Chi desidera lo può consultare cliccando su ONU
È molto probabile che chi nasce nel 2020 sia presente nel 2100, mentre i miei studenti, i cosiddetti millennial saranno presenti nel 2080 e nel 2050 saranno la forza produttiva del paese.
I'Istat sul sito I.Stat pubblica la previsione della popolazione nel periodo 2018-2065.
Le metodologie utilizzate utilizzano elaborazioni differenti sui coefficienti di natalità, mortalità e flussi migratori pertanto il confronto tra dati ONU e dati Istat deve essere considerato con una certa cautela.
La popolazione dell'Italia al 2065 è stimata dall'ONU in 48,5 milioni, mentre per l'Istat è pari a 53,7 milioni. Una differenza di 5 milioni di abitanti che non sono pochi.
Indipendentemente dai valori riportati dobbiamo riflettere sul fatto che entrambe le stime hanno segno negativo rispetto all'oggi, da 9 a 14 milioni di abitanti in meno!!.
In questo contesto nazionale si deve tener presente che le dinamiche demografiche a livello mondiale sono assai differenti. Il mondo passerà dagli attuali 7,7 miliardi ai 9,5 miliardi nel 2050. Dal 2050 al 2100 la crescita rallenterà notevolmente tanto che la popolazione a fine secolo è stimata in 10,7 miliardi.
Ci sono nazioni in crescita demografica mentre l'Italia e tanti altri paesi europei registreranno un calo significativo.
Di questi cambiamenti si parla poco.
Il dibattito attuale si concentra sul "cambiamento climatico" su Greta e sul suo movimento ma le problematiche legate agli andamenti demografiche sono altrettanto vitali.
Si dovranno riprogrammare politiche legate al territorio, alla mobilità, alla localizzazione e dimensione di servizi dalle scuole agli ospedali, per non parlare della sostenibilità economica e finanziaria del welfare.
Il calo demografico condizionerà i consumi globali ma soprattutto quelli legati agli aspetti generazionali. Nel 2065 gli over 70 saranno il 25,7 % della popolazione, oggi sono il 16,1.
La forza produttiva sarà in calo e si dovranno ridefinire completamente i rapporti tra le generazioni.
Fra 20 - 30 anni le problematiche del cambiamento climatico saranno in secondo piano, perché il problema demografico sarà molto più importante, credetemi.
Si dovranno creare nuove professioni e nuovi lavori, inoltre è difficile pensare quale potrà essere lo sviluppo delle nuove tecnologie legate alla intelligenza artificiale.
Con la guida autonoma e l'automazione della distribuzione (acquisti on-line) non sarà più necessario spostarsi per fare la spesa e allora come si distribuirà la popolazione?
Saranno abbandonati interi territori?
Ad esempio, che cosa succederà alla collina e montagna di tutto il nostro Appennino? o dei tipici paesi agricoli della pianura?
Tante domande, poche risposte.
Queste stime possono essere utilizzate dai chi deve prendere delle decisioni. Ovviamente non mi riferisco ai nostri amministratori che in questi giorni non riescono a "vedere" oltre il 26 gennaio 2020, figurarsi se possono fare scelte pensando al 2065 o al 2100.
Per un approfondimento con tabelle e dati legga il post successivo


martedì, gennaio 07, 2020

Festa del primo Tricolore: questa sconosciuta


Ieri sera, Telereggio, ha mandato in onda le risposte date da alcune persone, in giro per la città di Reggio Emilia, alle quali è stato chiesto dove è "nato" il Tricolore e quando.
L'esito di queste mini-interviste è sconcertante.
Fatte le dovute osservazioni su questo tipo di indagini poco oggettive, il campione non è mai significativo, inoltre posso mandare in onda le risposte che voglio in funzione dell'obiettivo che mi sono dato, sono stati veramente pochi quelli che hanno saputo rispondere correttamente.
Le risposte sono state le più strampalate soprattutto quelle riferite a quando è nato il Tricolore, si va dal 1960 (avete letto bene) al 1861 (Unità d'Italia) passando da molti non so o non ricordo ecc.
Non avere una conoscenza storica è preoccupante. Il presente è il risultato di eventi passati di cui il Risorgimento è componente fondamentale. Il futuro è il risultato di tutto quello che facciamo nel presente. Tra passato, presente e futuro c'è pertanto continuità.
Se immergiamo parzialmente una asta dritta nell'acqua il nostro occhio la vede piegata nel punto in cui entra nell'acqua. Sappiamo che questo fenomeno è dovuto al fatto che l'acqua e l'aria hanno un diverso indice di rifrazione e quindi l'asta è dritta ma il nostro occhio la vede piegata. Abbiamo cioè conoscenza del fenomeno fisico.
Ma se non sappiamo o conosciamo che l'asta è dritta quando la vediamo immersa nell'acqua potremmo supporre che sia veramente piegata, questa è la ragione per cui alcuni "personaggi" riescono a distorcere la verità storica e a farci credere a fatti e cose non vere.
Meditate.
Buona giornata

venerdì, gennaio 03, 2020

Il 2020 l'anno della rivoluzione liberal: un sogno e la realtà.


Ho iniziato a scrivere questo post il primo dell'anno, e mi sono accorto che stava diventando troppo lungo (qualche pagina) e allora ho pensato di pubblicarlo a "puntate". Ieri sul Corriere della sera una strana coincidenza, Mario Monti nell'articolo di fondo ha citata Carlo Cottarelli che ha scritto sulla necessità di una "rivoluzione economica". Come potete constatare non sono l'unico che ritiene necessario, per il bene della nazione dar corso ad una rivoluzione.
Il post è così articolato:
Il sogno
            Una proposta per una vera crescita economica.
            Come realizzarla
La realtà
            La crisi di governo è prossima
            Una campagna elettorale fatta di bugie
Il sogno.
Nel corso del 2020 si costituisce un partito con l'unico obiettivo quello di scuotere l'intero sistema economico italiano con un solo provvedimento di legge.
Abolire le accise su tutti i carburanti e l'energia elettrica.
Si tratta di un provvedimento che ha un costo rilevante, non voglio tediarvi con cifre e calcoli ma l'ordine di grandezza è di alcune decine di miliardi di euro all'anno.
Ma perché proprio le accise? Della proposta ne fece cenno la Lega, ma poi non ne ha fatto nulla anche perché ha preferito concentrarsi su "quota 100" per mero calcolo elettorale.
L'Italia è un paese la cui economia si basa in gran parte sulla produzione industriale, è quindi un paese trasformatore e per competere si deve:
  • Essere innovativi – tecnologicamente avanzati
  • Concentrarsi su segmenti produttivi difficilmente imitabili – made in Italy
  • Produrre a costi inferiori quei beni che sono prodotti anche dai nostri concorrenti
  • Fornire servizi – logistica a efficiente e a basso costo.

Realizzare queste condizioni non è poi così facile.
Per essere innovativi occorrono massicci investimenti in ricerca e istruzioni e le cose non vanno bene (vedi il post sul ministro Fioramonti)
Sul "made in Italy" cerchiamo di fare la nostra parte, ma non sempre facciamo sistema e quindi spesso ci troviamo in difficoltà, basta pensare a tutti i prestigiosi marchi che sono in mano "straniera".
Nonostante i bassi salari reali, i nostri costi sono eccessivi; le cause sono tante dal fisco alla burocrazia, da un sistema di trasporti inadeguato alle politiche sindacali poco lungimiranti. Per farla bere la nostra produttività è scarsa, anzi negli ultimi anni è decisamente peggiorata.
Sull'ultimo punto, come si fa a fornire servizi efficienti con la nostra burocrazia? Sarebbe un'impresa titanica.
Queste poche righe fanno capire la complessità degli interventi che i governi dovrebbero attuare per dare al nostro Paese un futuro sicuro.
Gli ultimi governi sono stati un "disastro" perché hanno ritenuto che l'economia potesse ripartire puntando sul consumo interno ridistribuendo debiti. Dagli 80 euro di renziana memoria al reddito di cittadinanza. Gli effetti di questi costosi provvedimenti sono quasi zero. Vi ricordate la fantasiosa crescita del 2 e + percento data per certa ad inizio 2019!!!, risultato uno scarso "zero virgola"..
Vi chiederete allora dovrebbe perché funzionare l'abolizione delle accise, la ragione è semplice. Le accise sono un costo "improprio" dell'energia, sono cioè un vero e proprio costo improduttivo, inoltre hanno un effetto moltiplicatore sul costo in tutte le fasi. Mi serve energia per produrre un bene, per trasformarlo, per trasportarlo, per venderlo ecc..
Pensate ad una "bistecca" mi serve energia per produrla (es il gasolio del trattore che lavora nei campi), per macellare il bestiame, il frigo per conservarla sia nel supermercato che nel mio frigo di casa.
Se il costo dell'energia si abbassa si abbassa il costo di tutte i beni e a parità di reddito è ovvio che si possono acquistare più beni e contemporaneamente le nostre merci sono più completive sui mercati esteri.
L'abbassamento delle accise ha come conseguenza la riduzione del costo di produzione di tutti i beni in proporzione più o meno accentuata a seconda dell'incidenza dell'energia sul costo di produzione.
La riduzione dei costi di produzione non è detto che abbia una conseguenza immediata sul prezzo di vendita e quindi per incentivare la produzione si deve puntare su un settore produttivo che ha un effetto leva rilevante e quindi alla abolizione delle accise si deve programmare la "rottamazione" di tutte le automobili da euro zero a euro 3. In 7 anni tutte a tutte queste vetture sarà gradualmente vietato circolare, ma non solo in città ovunque.
Il sito dell'ACI http://www.opv.aci.it/WEBDMCircolante/ riporta tutte le statistiche sui veicoli circolanti in Italia.
Nel 2018 circolano in Italia quasi 52 milioni di veicoli (tutti, dalle automobili agli autocarri)
Un numero esagerato, possibile che abbiamo bisogno di così tanti mezzi? Il 59,1% ha più di 10 anni. Le autovetture sono poco più del 75% di tutti i veicoli.
Il parco autovetture da euro zero a euro 3 è ca il 35%, poco più di 13 milioni di veicoli.
Questi andrebbero rottamati in non più di 7 anni, vuol dire che ogni anno si potrebbero vendere in Italia almeno un milione di autovetture in più rispetto alla norma.
Questo si che sarebbe "incentivare" i consumi.
L'effetto leva di un provvedimento di questa natura sarebbe incredibile.
Come realizzare tutto questo? Al prossimo post.