Circa 300.000 anni fa è apparsa sul nostro pianeta una nuova specie di essere vivente, ovvero l’Homo sapiens, il risultato di un'evoluzione durata almeno 3,5 o 4 milioni di anni. Secondo i biologi, noi non siamo geneticamente molto diversi rispetto a quel primo Homo sapiens. Tuttavia, la popolazione è cresciuta, da pochi individui a oltre 8,5 miliardi, dimostrando capacità di adattamento e diffusione difficilmente riscontrabili in altre specie viventi.
Per almeno 280-290 mila anni l’uomo ha costituito delle
comunità nomadi che si spostavano sia per la ricerca di cibo sia per trovare
zone climaticamente più favorevoli. Quando l’uomo è diventato stanziale, ha
formato comunità che dovevano salvaguardare il territorio dal quale ottenevano
tutti i mezzi per il sostentamento. Se la comunità cresceva, doveva
necessariamente espandersi su una maggiore porzione di territorio. Se non vi
era territorio disponibile, spesso si occupava quello di un'altra comunità, il
che è considerato come l'origine della conflittualità tra i gruppi di
individui.
La “conflittualità” tra gruppi di individui della stessa
specie per il possesso di porzioni di territorio è tipica e naturale per
moltissime specie di esseri viventi, come si può osservare nella territorialità
dello scoiattolo o dei grossi felini.
Con lo sviluppo del pensiero umano, emerge una nuova
dimensione sociale. Il messaggio evangelico di Cristo propone una visione
universale. Con il battesimo, l'uomo entra in una nuova dimensione sociale
nella quale non ci sono più distinzioni tra gruppi e comunità, eliminando il
principio di territorialità e confini da difendere o ampliare. Lo “spazio
vitale” diventa quello del pianeta senza più nazioni. In questo contesto, i
conflitti e le guerre non avrebbero più ragione di esistere.
Questo approccio, sebbene utopico, è coerente con
l’insegnamento evangelico e dovrebbe essere considerato come premessa di
qualunque discussione sulla guerra.
Papa Francesco parla di pace “universale”, però fa sempre riferimento
alle nazioni in guerra ad esempio quella Ucraina o al popolo ucraino, così come
alla nazione Russa, mai io ricordo un riferimento esplicito alla universalità,
ovvero al superamento della nazione intesa come elemento divisivo tra le genti per
dare origine ad un profondo cambio di paradigma. Dire che i contendenti sono
tutti colpevoli e/o tutti innocenti non risolve il problema.
Non c’è una pace giusta o ingiusta nel nostro mondo ci sono
solo rapporti poco o tanto conflittuali. Se i conflitti socioeconomici sono
contenuti e “confinati” in accordi / trattati riusciamo ad evitare la guerra ma
se si ritiene che sia necessario ed indispensabile uno “spazio vitale” allora
si arriva alla guerra.
Questo è, tristemente, il contesto attuale e la voce di noi
cristiani e anche di colui che tutti ci dovrebbe rappresentare come “pastore”
universale non riesce a demolire il primordiale tabù del confine tra le nazioni
e le diverse aspettative delle popolazioni.
La guerra russo-ucraina ne è un esempio. La Russia rivendica
territori. Ad esempio, la Crimea venne conquistata in epoca zarista da Caterina
II “la Grande” nel 1783 per un accesso sicuro al Mar Nero, garantirsi una “sicurezza”
strategica nei confronti dell’Impero Ottomano e per ulteriori espansioni
territoriali.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Crimea fu occupata
dalle truppe tedesche e successivamente liberata dalle forze russe, entrambi
gli eserciti causarono notevoli distruzioni. In quegli anni, l'URSS controllava
tutte le Repubbliche Sovietiche, seguendo le politiche stabilite a Mosca. Nel
1954, Nikita Khrushchev decise di trasferire l'amministrazione della Crimea
dalla Russia all'Ucraina.
In quell’anno si tratta di una pura formalità sempre di URSS
si tratta.
Nel 1991 con il crollo dell’URSS tutto cambia, l’Ucraina
diventa indipendente e “possiede” territorialmente anche la Crimea.
L’attuale rivendicazione territoriale della Russia nei
confronti dell’Ucraina è legittima? Sulla base degli attuali trattati la
risposta è semplice, NO! ma se incominciamo a dire però, nel 1783 e anche prima
nel 1600, ecc... Che cosa potrebbe dire o fare l’Italia, ai tempi dell’Impero
Romano la Gallia, l’Inghilterra, ecc... erano territori “nostri” li abbiamo
perduti però … Insomma, non si finirebbe più.
Dopo due guerre mondiali e la creazione di “blocchi” tra le
nazioni i governanti, anche sulla basse delle sollecitazioni popolari, hanno
maggiormente sviluppato un atteggiamento di protezione dello status quo.
Si veda la nascita dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, dell’Unione
Europea, a scopo dichiaratamente difensivo della NATO. Anche l’ URSS aveva lo
scopo di mantenere uno status protettivo per le nazioni che ne facevano parte.
Negli ultimi 40-30 anni da una situazione di immobilismo
territoriale si è passati ad una fase più dinamica condizionata da molti
fattori, ne cito solo alcuni: la diversità nello sviluppo demografico, aree ad
alta crescita si contrappongono ad aree in calo demografico o almeno ad incremento
modestissimo; lo sviluppo di tecnologie avanzate; condizioni di lavoro
differenti e quindi costi del lavoro differenti, conviene produrre magliette e
scarpe in Cina o in Vietnam piuttosto che in USA o in Italia, la disponibilità
di fonti energetiche a basso costo, ecc…
Tutte queste dinamiche hanno impattato sulle società nel loro
complesso ed hanno creato tensioni tra nazioni confinanti. In molti casi tutto
si è “risolto” con accordi commerciali che potevano garantire reciproci
vantaggi e le questioni militari sono rimaste sullo sfondo, diciamo accantonate,
anche perché nessuno a voglia di fare la guerra. Ma in altri contesti lo
scontro è diventato cruento e l’unico modo per risolverlo è quello della
guerra.
Fare una guerra è molto costoso e mi sono chiesto quali dati
si possono reperire sul database della World Bank, sempre molto dettagliato, e facilmente
utilizzabile per analisi globali.
Il database pubblico contiene quasi 9 milioni di dati riferiti
a tutte le nazioni e riguardanti più 1500 indicatori socioeconomici.
Con Donald Trump alla casa Bianca e la guerra Russo-Ucraina
il dibattito sulla spesa per la difesa e il “riarmo” si è fatto particolarmente
acceso.
Mi sono chiesto se è possibile osservare una qualche
relazione tra spesa militare e “propensione” alla guerra, può essere vera l’affermazione
che se si comprano armi prima o poi si useranno e quindi si farà una guerra?
Analizziamo un po' di dati.
Nel 2023 l’ammontare totale della spesa militare[1]
mondiale è pari a poco meno di 2.400 miliardi di dollari pari al 2,35% del PIL,
quasi 100 miliardi in più del PIL dell’Italia.
Una spesa enorme. Oltre I’87 % di questa spesa totale è
sostenuta da 20 paesi, il primo, gli USA con oltre il 38% della spesa, seguono Cina
(12%), Russia(4,6%) e India (3,5%), l’ultimo è l’Olanda che nel 2023 spende “solo”
16 miliardi di dollari pari allo 0,7% del totale. Nello stesso anno l’Italia
spende 35 miliardi di dollari. Si consideri che a valori costanti 2015 il PIL
dell’Olanda è quasi la metà di quello dell’Italia.
Il grafico 1, sotto riportato, mostra l’andamento dell’incidenza
% delle spese militari sul PIL nel periodo dal 1960 al 2023. Per la Cina i dati
sono disponibili dal 1990, mentre per la Russia solo dall’anno 2000. Ad eccezione
della Russia l’incidenza % delle spese militari sul PIL si mantengono sostanzialmente
stabili con piccoli incrementi a partire dal 2022.
La Russia al contrario ha incrementato la spesa nel 2022 e
2023, ovvero con l’inizio della guerra.
Se si osservano gli andamenti si potrebbe concludere che
ogni nazione, in periodo di pace, spende una certa somma di danaro tale da permettere
il mantenimento di una struttura organizzativa militare, il più efficiente
possibile, che in caso di conflitto, possa essere mobilitata, con successo, per
la difesa da una eventuale aggressione.
Nel grafico 2 sono riportati i tassi annui di variazione di
tre grandezze significative: l’ammontare del PIL espresso in dollari a valori
correnti, il totale della popolazione e l’ammontare delle spese militari, anch’esse
espresse in dollari a valori correnti.
Come si può facilmente constatare le spese militari per
quasi tutti i paesi sono cresciute, anche se di poco, con percentuali non molto
differenti rispetto al PIL e l’incremento o decremento della popolazione non ha
influenzato il decisore nelle spese militari.
Nel confronto anno 2000 e anno 2023 è ovvio che le due
nazioni in guerra come Ucraina e Russia hanno incrementato lo spese militari. Situazione
un po' più anomala è quella dell’Algeria. Il considerevole incremento pare
essere dovuto alla necessità di incrementare le difese per evitare possibili
tensioni nelle regioni del Sahara attualmente oggetto di contenzioso
territoriale. Anche la Polonia ha incrementato le spese militari, atteggiamento
più che comprensibile viste le non poche tensioni ai sui confini orientali.
Il database della World Bank riporta che nell’anno 2020 le
forze armate a livello mondiale contano poco più di 27,4 milioni di soldati
(vedi tabella 1a, 1b, 1c). Solo 4 nazioni hanno più di un milione di soldati e
sono rispettivamente l’India con oltre 3 milioni, la Cina con 2,5 milioni,
Russia e USA con ca. 1,5 milioni. Avere più o meno soldati è ovviamente
importante, possono servire come “massa d’urto” ma è altrettanto importante capire
se sono ben armati. Per quest’ultimo aspetto la spesa totale è stata divisa con
il totale degli effettivi ed emerge un “quadro” che mette in evidenza le
notevoli differenze tra gli eserciti.
Gli USA spendono per ogni effettivo 558 mila dollari, la Cina
101 mila dollari, la Russia 42 mila ed infine l’india 23 mila. Al fine di
comprendere meglio l’effettiva superiorità di questo o quell’esercito i dati
precedenti andrebbero maggiormente indagati ed investigati però è innegabile
che se spendo 5 o 10 volte tanto per ogni soldato ciò significa che sono dotato
di un armamento più moderno e senza dubbio tecnologicamente avanzato. La
potenza mondiale degli USA è indubbia, così come il mantenimento di basi all’estero,
flotte in ogni oceano, aerei e satelliti in ogni cielo abbiano costi enormi.
Dalla analisi, si veda anche il dato delle spese militari
per abitante, stupisce che nazioni pacifiche abbiano spese per soldato assai
cospicui. In un range di spesa tra i 450 e i 200 mila dollari si collocano, in
ordine decrescente le seguenti nazioni: Australia, Lussemburgo, Svezia, Regno
Unito, Danimarca, Canada, Olanda, Germania, Norvegia, Svizzera, Nuova Zelanda, Kuwait,
Arabia Saudita e Belgio.
È forse troppo affermare che tutte queste nazioni che
spendono così tanto per ogni soldato in realtà sono tra le più “pacifiche”. La
Svezia fino all’anno scorso era neutrale, così come lo è tutt’ora la Svizzera.
Alcune conclusioni.
Primo. La spesa militare corrente non rappresenta l’elemento
principale che da origine ad un conflitto. Gli stati non si preparano più alla
guerra, in pratica cercano di avere dei sistemi di difesa in grado di rispondere
efficacemente ad una aggressione militare per tutelare i propri cittadini.
Quando poi sono in guerra sono in grado di mobilitare molte
risorse e pertanto, solo durante il periodo di conflitto le spese militari aumentano
enormemente. Nel 2023 l’Ucraina ha speso il 36% del suo PIL per la difesa.
Sulla base dei dati presentati l’affermazione che l’incremento
delle spese militari porti inevitabilmente alla guerra non trova fondamento,
anzi si potrebbe dire che i paesi che più spendono, in relazione all’esercito
che possiedono sono quelli che sono più in pace.
Secondo. Attualmente tra le nazioni vi è un elevato
squilibrio nella spesa militare. Gli USA detengono un poco inviabile primato,
spendendo più del 3% del PIL, ma lo esige la loro dimensione “planetaria”. Se
il presidente Trump vuole diminuire l’impegno finanziario vuol dire che intende
rinunciare alla difesa USA di alcune aree geografiche più o meno estese.
Le nazioni della NATO, hanno speso nel 2020 1.1 miliardi di
dollari. L’elaborazione dei dati non mi permette di stabilire quanto gli USA
spendono per la difesa europea. Supponendo, in modo spannometrico, ma i
militari lo sapranno bene, che gli USA spendono per l’Europa il 50 % della loro
totale si ottiene ca. 350 milioni di dollari, dato non molto distante dai 340
milioni di dollari che spendono le nazioni NATO escludendo gli USA.
Molti commentatori hanno osservato che se gli USA pensano
che i membri della NATO debbano spendere il 3% del PIL per la difesa, i
finanziamenti dovrebbero aumentare di oltre 270 miliardi di dollari. Questo
significherebbe per gli USA rinunciare alla propria leadership. Ma agli USA
conviene veramente?
È molto probabile che non sia affatto necessario raddoppiare
la spesa per armamenti ma razionalizzare quello che si sta facendo ovvero,
essere in possesso di una struttura efficiente e flessibile in grado di dissuadere
un eventuale aggressore. La NATO, USA esclusa, è in grado di dispiegare oltre
2,5 milioni di soldati, siamo proprio sicuri che ne siano necessari così tanti?
A mio parere possono essere molti di meno ma meglio armati e meglio dislocati.
Insomma si può fare meglio spendendo poco di più.
Terzo. La guerra Russo-Ucraina. Nel 2020, confrontando i
dati della spesa militare della Russia con quelli dell’Ucraina, si sarebbe
potuto concludere che l'Ucraina sarebbe stata rapidamente conquistata dalle
truppe russe. Tuttavia, la situazione si è evoluta in maniera differente.
Sebbene il sostegno occidentale sia stato fondamentale per l'Ucraina, anche la
preparazione militare interna ha giocato un ruolo cruciale nella resistenza
ucraina che continua da oltre tre anni.
Dal punto di vista strategico-militare, la Russia ha
incontrato difficoltà significative, nonostante la sua superiorità numerica in
termini di forze armate. Nonostante l'impiego di tutte le risorse disponibili,
esclusi gli ordigni nucleari, le conquiste militari sono state ottenute a un
costo umano elevatissimo. Con un esercito di oltre 1,5 milioni di soldati, la
Russia ha dovuto ricorrere all'impiego di soldati nordcoreani e alla
liberazione di detenuti per integrare le proprie fila.
Questo conflitto ha dimostrato che la sola presenza di
soldati non è sufficiente e che alcune armi leggere possono avere effetti
devastanti in aree ristrette. Anche se è difficile stabilire l'effettiva
condizione dell'esercito russo, è chiaro che lo sforzo economico necessario per
sostenere questa guerra non è più a lungo sopportabile. Quando la guerra
finirà, la Russia si ritroverà con un'economia compromessa. Putin ne è
consapevole e per questo è determinato a ottenere significative conquiste
territoriali a tutti i costi.
[1]
I dati sulle spese militari del SIPRI derivano dalla definizione della NATO,
che include tutte le spese correnti e in conto capitale per le forze armate.