domenica, dicembre 29, 2019

Dimissioni del Ministro Lorenzo Fioramonti: un caso emblematico.


Le ragioni delle dimissioni sarebbero i 3 miliardi di euro che il Ministro Fioramonti voleva mettere tra le spese del bilancio a favore di scuola, università e ricerca.
A copertura di questo budget, nuove tasse. L'economista "della decrescita" non ha escogitato nulla di poi tanto originale!
Questo è quanto accade ogni giorno nella pubblica amministrazione, ogni progetto non prende minimamente in considerazione se è possibile mobilitare risorse senza gravare sul bilancio dello stato, della regione, della provincia e del comune.
Per la ricerca e l'Università si potrebbe fare molto, moltissimo a costo "zero".
La gestione della ricerca è gravata da una tale burocrazia che sono pochissime le imprese che decidono di finanziare o cofinanziare importanti progetti di ricerca. Le convenzioni che vengono pattuite, nella maggior parte dei casi, prevedono il trasferimento di fondi dal privato all'università e conseguentemente la responsabilità della gestione amministrativa è della struttura di ricerca con tutti i lacci e laccioli della italica burocrazia.
Tutti questi vincoli fanno sì che le fonti del finanziamento della ricerca in Italia si basa prevalentemente su finanziamenti pubblici ad un livello assai inferiore rispetto alle nazioni con le quali dobbiamo competere (dati OCSE).
Sono convinto che se si riformassero le modalità con le quali le imprese possono finanziare la ricerca si genererebbe un flusso di capitali rilevantissimo. La condizione è quella di una gestione manageriale della ricerca in ambito universitario.
Si dovrebbe dar luogo ad una vera "autonomia" liberalizzando l'intera attività di ricerca.
Tre esempi possono dimostrare le ragioni del modesto finanziamento privato della ricerca.
Primo.
Le imprese possono finanziare borse di studio per il dottorato di ricerca. Bene. Questi soldi vengono incamerati dall'Ateneo e a questo punto per assegnare la borsa è necessario emettere un bando con tutto ciò che potete ben immaginare, scartoffie e burocrazia. Il tutto viene fatto sulla base del principio che in quanto fondi pubblici la borsa può essere assegnata solo sulla base di un concorso pubblico, e quindi al più "meritevole". Tutto giusto, ma sulla carta, perché sappiamo perfettamente che se vogliamo realizzare un progetto nei tempi e nei modi previsti abbiamo bisogno di uno dottorando bravo e capace e ce lo possiamo scegliere come fanno tutte le aziende quando hanno bisogno di un dipendente bravo per una determinata mansione.
Si può ovviamente sbagliare, a quel punto si dice, mi dispiace ma non sei all'altezza e si sceglie qualcun altro.
Secondo.
In ambito universitario, si possono stipulare convenzioni di ricerca ad interesse prevalente per il committente. Queste convenzioni sono gestite con modalità differenti tra gli Atenei, ma tutte prevedono la determinazione di un utile che deve essere pari ad una quota percentuale dell'ammontare del progetto. L'utile, pertanto, per il committente rappresenta un costo. L'ammontare dell'utile viene ripartito tra molte "figure", una quota a chi ci lavora direttamente, responsabile della ricerca e i suoi diretti collaboratori, e una quota che viene invece destinata, con modalità differenti, a tutto il personale tecnico amministrativo.
Questo sistema è di tipo "Ancien Régime" perché si basa sul principio di equa ripartizione di risorse che in realtà non è altro che il risultato di una azione lobbistica sindacale.
Terzo
Tutte le spese previste dal progetto, quelle di funzionamento o per eventuali investimenti, sono soggette alle norme della contabilità della pubblica amministrazione, insomma un mare di burocrazia da far tremare i polsi a chiunque.

Ieri il premier Conte, durante la conferenza stampa di fine anno, ha dichiarato che ci sarà un Ministro per l'Università e la ricerca scientifica.
Il lavoro non gli mancherà perché se vorrà fare veramente il bene del paese e degli studenti deve liberalizzare, liberalizzare e liberalizzare.
Il cambiamento che tutti noi invochiamo abbia inizio dall'Università.
Basta con la burocrazia asfissiante.
Basta con i concorsi pubblici che non premiano certamente i migliori.
Basta con una ricerca auto referenziata che ha l'unico scopo di ottenere "score" vantaggiosi ai fini carrieristici.
Basta con regole di accesso ai giovani sempre più penalizzanti e frustranti.
Basta con percorsi didattici 3+2 fatti di una infinità di regole che di fatto impediscono la mobilità degli studenti e creano "gabbie" culturali.

Le prime dichiarazioni del Ministro Gaetano Manfredi (già Presidente della Conferenza delle Università Italiane – CRUI) non lasciano ben sperare perché già si lamenta dei pochi soldi a disposizione e quindi vuole "battere cassa". Speriamo che cambi registro, la speranza è sempre l'ultima a morire.