venerdì, luglio 16, 2021

La pandemia, effetti demografici: in due anni è “sparita” la popolazione di una provincia.

Il 22 gennaio 2020, poco prima che “scoppiasse” la pandemia da Covid-19 ho scritto due post che riguardano il futuro demografico dell’Italia. (vedi https://www.blogger.com/blog/post/edit/21348721/6948012007139774691). I due post prendevano in considerazione due studi previsionali sulla popolazioni, il primo realizzato dall’ONU che stima la popolazione mondiale, per area geografica e nazione al 2100; il secondo dell’Istat stima la popolazione italiana dal 2018 al 2065.

Le stime sulla popolazione fatte dai due studi non sono coincidenti, ma mettono in evidenza come la popolazione italiana sia in calo. Al 2065 l’ONU stima per l’Italia come molto probabile una popolazione di 48,5 milioni di abitanti mentre l’Istat più ottimisticamente ne stima 53,7 milioni.

Il 9 luglio scorso il Presidente dell’Istat prof. Gian Carlo Blangiardo ha illustrato il “Rapporto annuale 2021. La situazione del Paese”. La pubblicazione è disponibile sul sito dell’Istat all’indirizzo https://www.istat.it/it/archivio/258983. Il tomo di 271 pagine descrive la situazione del paese tenuto conto degli effetti della pandemia. Tra i vari argomenti a carattere economico e sociale si fa riferimento alle dinamiche demografiche natalità, mortalità e flussi migratori sia interni che esterni.

I dati diffusi sono dettagliati per quanto riguarda la natalità e la mortalità. Nel 2020 si registra un minimo storico nella natalità, poco più di 400 mila nati, un picco della mortalità con oltre 740 mila morti, che rappresenta un massimo dopo l’ultimo conflitto mondiale. In modo molto più sfumato viene trattato l’aspetto dei flussi migratori. Una nota di Istat afferma che le attuali elaborazioni hanno ancora un carattere provvisorio perché è necessario del tempo per analizzare le differenti posizioni e situazioni.

Sul sito dell’Istat (http://dati.istat.it/#) sono già disponibili i dati sulla popolazione residente al 1° gennaio 2021 e analizzando il periodo 1° gennaio 2019 – 1° gennaio 2021 possiamo quantificare gli effetti globali della pandemia in termini di popolazione.

I dati sotto riportati tengono conto della natalità, della mortalità e del saldo anagrafico dovuto alla migrazione e ad altri motivi:

Anno

Popolazione al 1° gennaio

2019

        59.816.673

2020

        59.641.488

2021

        59.257.566

La differenza tra la popolazione presente il 1° gennaio 2019 e quella presente il 1° gennaio 2021 è pari a 559.107 individui. Il calo della natalità e l’aumento della mortalità sono noti ma la variazione così rilevate è dovuta al crollo dei flussi migratori.

Faccio presente che il numero di abitanti “persi” corrisponde alla intera popolazione di una provincia come Cuneo, (detta la provincia “grande”), Como, Pavia, Reggio Emilia, Firenze, Salerno e Catania.

Se il calo demografico dovesse mantenere un simile trend nel “fatidico” 2050, anno nel quale l’Europa e di conseguenza l’Italia diventa tutta “green” la popolazione sarebbe di poco superiore ai 30 milioni.

Questo scenario è, a mio parere, sconvolgente.

Diventa quasi inutile mobilitare enormi risorse per il “green deal”, il calo della popolazione e quindi dei “consumatori” si ripercuote su ogni aspetto di questa società. Minori consumi energetici, minori consumi alimentari e quindi più terra a disposizione per una nuova forestazione con conseguente cattura naturale del carbonio. Minore impatto di tutti i mezzi della produzione. Si dovranno ridefinire modelli di distribuzione territoriale degli abitanti. In primo luogo si dovrà decidere se favorire la presenza della popolazione anche nelle aree rurali che naturalmente si andranno a spopolare.

La presenza antropica è importante per evitare, nel breve periodo, gravi fenomeni di dissesto dovuti alla mancata manutenzione e salvaguardia di ambienti che con l’abbandono dovranno “ritrovare” nuovi equilibri ambientali, che si ottengono in tempi molto lunghi.

Il peso economico relativo dell’enorme indebitamento che stiamo facendo oggi per investimenti “green” potrebbe diventare insostenibile per le generazioni future.

Il calo demografico riguarderà soprattutto i giovani o comunque gli individui in età lavorativa e saranno proprio queste fasce di età a dover sopportatore oneri fiscali rilevantissimi. È difficile pensare che gli anziani possano essere gravati di oneri fiscali rilevanti tenuto conto che avranno compensi previdenziali ridotti. Ricordo che il sistema pensionistico italiano si finanzia con la forza lavorativa in essere e solo una parte deriva dagli accantonamenti fatti durante il fase lavorativa. Una situazione di questo tipo potrebbe diventare socialmente lacerante e foriera di tensioni paragonabili a quelle che hanno portato alla Rivoluzione Francese, soffocante peso dello stato e rilevanti diseguaglianze socio economiche.

In termini economici e finanziari un orizzonte temporale si 40 anni è di lungo periodo ma assolutamente compatibile con moltissimi tipi di investimenti. Chi compra oggi una abitazione di nuova costruzione considera di poterla usare anche tra 40 anni. Per quasi tutti gli investimenti strutturali pubblici, strade, ponti ferrovie, scuole, ecc.. si considera un tempo compreso tra i 30 e i 50 anni.

Ai nostri politici tanto impegnati nelle politiche “green” chiedo di tener conto degli aspetti demografici per fare scelte più ponderate e “sostenibili”.